Silvia Albertazzi

GLI SCARTI DELLO SCRITTORE

Una plumbea sera d'inverno, rientrando infreddolito all'ora di cena, il Famoso Scrittore trovò una nuova pubblicazione nella cassetta della posta. Ne lesse distrattamente il titolo, storcendo il naso: "L'Orto", commentò, "e che cos'è, una rivista di giardinaggio?" Salendo in ascensore, cominciò a sfogliarla, ma si arrestò a pagina tre. "Quando c'era la letteratura? E che cosa vogliono dire, questi, che ora la letteratura non c'è più? E allora, a che cosa servirei io, se non a creare la letteratura? Io sono la letteratura, altro che storie! Ma chi si credono d'essere, questi signori? Ortolani, sì, certo: altro che letterati, ortolani!" Entrò in casa stizzito e senza neppure togliersi il cappotto si diresse verso lo sgabuzzino in fondo al corridoio, dove seppellì la nuova rivista in una pila di libri dimenticati. Era sua abitudine relegare in quello stanzino buio volumi e giornali che non gli interessavano: romanzi che rifiutava di leggere, saggi scritti da colleghi antipatici, ma anche libri e riviste che erano appartenuti a suo padre e che, alla sua morte, erano stati rigettati.

Pur essendo piuttosto sottile, L'Orto si sentì subito soffocare, stretto com'era tra due volumi polverosi. "E tu chi sei?", fece il libro che gli stava sopra, osservandolo attentamente. "Una rivista letteraria? Lasciati guardare … Racconti, poesie, disegni … Ma sì, forse hai la mia stessa idea di letteratura: il luogo del 'due volte reale', dove ogni cosa è questo, 'reale due volte'. Forse è per questo che non mi è indifferente sentirti qui, guardarti, i racconti, le poesie, quello che hai da dire, il ricordo, e l'età di tutta la lontananza, l'in più d'ora, la letteratura, insomma, tutto reale due volte, quarta dimensione.

"Mi scusi", replicò L'Orto, intimorito, "Temo di non seguirla. Lei parla così bene: certo è un professore?"

"Io professore? Ho l'aria di un professore? Non sono un ignorante, posso leggere una rivista, se voglio, ma non sono un professore. Sono un manoscritto trovato in una bottiglia, come tutti i manoscritti, del resto. Mi chiamo Conversazione in Sicilia."

"E perché non sta in biblioteca con i libri importanti?" chiese L’Orto, cui quel titolo non era del tutto nuovo.

"Perché il Famoso Scrittore non ha letto abbastanza, quando era piccolo, e ora non sa riconoscere un libro che può farlo viaggiare lontano con la fantasia. E’ una fortuna avere letto quando si era ragazzi. E doppia fortuna avere letto di vecchi tempi e vecchi paesi, libri di viaggi e Le Mille e una notte in special modo. Uno può ricordare anche quello che ha letto come se lo avesse in qualche modo vissuto, e uno ha la storia degli uomini e tutto il mondo in sé, con la propria infanzia, Persia a sette anni, Australia a otto, Canadà a nove, Messico a dieci …."

"Non c’è solo questo, non c’è solo la fantasia", sbottò in un inconfondibile accento toscano il volume che era venuto a trovarsi sotto all’Orto. "Lui, il Famoso Scrittore, sa anche apprezzare un buon libro, purché gli venga servito in confezione extra-lusso dalle grandi case editrici. Se non è preceduto da pubblicità, se non gli viene inviato in omaggio da un ufficio stampa, lui non se ne cura. Sai, una volta pensavo che col tempo e con i mezzi sarei arrivato a stupirlo, a farlo parlare di me. ‘Ti darò la narrativa integrale’, gli promettevo, ‘dove il narratore è coinvolto nel suo narrare proprio in quanto narratore, e il lettore nel suo leggere in quanto lettore, e tutti e due coinvolti insieme in quanto uomini vivi e contribuenti e cittadini congedati dall’esercito, insomma interi’ Lui aspettava questo miracolo narrativo e io continuavo: ‘Proverò a riscrivere tutta la vita non dico lo stesso libro, ma la stessa pagina…’ Lui si beava nel sogno di questo esperimento, e io rincaravo la dose: ‘Proverò l’impasto linguistico, evocando in un sol periodo il Burchiello e Rabelais, il Molinari Enrico di New York e il lamento di Travale — guata guata male no mangiai ma mezo pane — Amarilli Etrusca e zio Lorenzo di Viareggio’ Gemeva di gioia il Famoso Scrittore, al culmine dell’orgasmo d’attesa, e io raddoppiavo la posta: ‘Ti darò anche il romanzo tradizionale, con tre morti per forza, due gemelli identici e monocoriali e un’agnizione. Il romanzo neocapitalista, neoromantico o neocattolico, a scelta. Ci metterò dentro la monaca di Monza, la novizia del convento di ***, il curato di campagna e il prete bello’ Sì, avessi avuto il tempo, avessi avuto i mezzi avrei toccato tutta la tastiera della sensibilità contemporanea … l’indifferenza, la disubbidienza, l’amor coniugale, il conformismo, la sonnolenza e il rompimento di palle. E invece, eccomi qui, tra i libri dimenticati, a denunciare fin dal mio nome quanto la vita possa essere agra"

"O poverino", lo compianse L’Orto, "sei stato proprio sfortunato. Ma forse non tutti i libri finiscono nel dimenticatoio per motivi di mercato, perché i loro editori non li hanno pubblicizzati abbastanza o perché i loro autori dovevano scrivere per vivere e non vivere per scrivere, come avrebbero voluto."

"Povero ingenuo", tuonò in inglese una voce di basso, in fondo alla pila. "Io sto qua da più di cent’anni per gli stessi motivi. Mi ha scartato addirittura il nonno del Famoso Scrittore, e suo padre non mi ha nemmeno mai visto. Mi chiamo New Grub Street, e sono uno dei classici meno letti al mondo. Forse davo troppo fastidio ai tempi di Vittoria; forse do ancora fastidio. Ma io non smetto di dirlo, a chi vuole ascoltarmi, che gli scrittori integerrimi, quelli che non si piegano alle leggi del mercato, alle imposizioni dell’editoria, hanno solo due opzioni: morire di stenti o suicidarsi; che nessuno li capisce, neanche le loro mogli (che anzi poi, da vedove, finiscono sempre per risposarsi con i loro colleghi venduti al potere); che i buoni (i fessi, se volete) ci rimettono sempre …"

"Che quadro desolante! Non credo di avere molte chances in un mondo così perfido!" L’Orto stava cominciando a piangere. Lacrime chiare rigavano il suo prezioso cartoncino giallo, scolorendo il carattere Bodoni.

"Non fare così, non rovinare il bel lavoro del tuo tipografo" cercò di consolarlo La vita agra "Mi apre il cuore vedere una stampa fatta così bene. Sai, ho lavorato anche in un giornale, io. E ti assicuro che in tipografia facevano sempre le spaziature a capocchia, così da una parte avanzavano dodici righe, da un’altra ne mancavano sette, e per tutto il giorno noi bisognava qui tagliare, là aggiungere, e poi rifare daccapo tutti i sommari … Tu sei bello, fatto bene: non ti abbattere. E’ un piacere guardarti."

"Dai, dai, smettila di frignare! Piangere non serve", s’intromise un’altra voce, dall’alto del mucchio, "vieni qui a giocare con me, Orto. Conosci il gioco della campana, il rito infantile del sassolino e del salto su un piede, per entrare zoppin zoppetta nel Cielo della Domenica?"

"Ecco Rayuela, l’argentino di Parigi", spiegò Conversazione in Sicilia, "Dagli retta. Per lui il mondo è sempre come a sette anni, Mille e una notte. Uno, a sette anni, ha miracoli in tutte le cose. Uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. O un sassolino nello schema della campana. Esce e lo lancia, ed è grido che si alza da lui, e il ragazzo zoppetta lungo un percorso ormai sbiadito, e così la sua fede consuma, celebra la certezza."

"Ma perché solo il ragazzo? Perché solo Rayuela? Non ha certezze l’adulto? Non gioca mai il Famoso Scrittore?"

"Che farebbe il Famoso Scrittore con la certezza? Lui conosce le offese recate al mondo, l’empietà e la servitù, l’ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza? Che farebbe?"

"Non metterla sul filosofico, o sul politico, Conversazione", incalzò Rayuela, "Io conosco l’esilio, e la dittatura, e per questo so che un uomo è sempre più di un uomo e sempre meno di un uomo, più di un uomo perché racchiude in sé ciò cui allude il jazz e sottolinea e anche anticipa, e meno di un uomo perché di quella libertà ha fatto un gioco estetico o morale, una scacchiera su cui si riserva di essere alfiere o cavallo, una definizione di libertà che è insegnata nelle scuole, esattamente nelle scuole dove mai si è insegnato mai si insegnerà ai bambini il primo tempo di un ragtime e la prima frase di un blues … Ah, I could sit right here and think a thousand miles away", cominciò a cantare, sommessamente, con bella voce di blues.

"Ma perché anche lui è qui?" chiese L’Orto, "Non canta, non ascolta musica, non gioca mai, il Famoso Scrittore?"

"Oh, no!" rispose ancora Conversazione in Sicilia, "Lui è agitato da astratti furori, non nel sangue, ed è quieto, non ha voglia di nulla. E’ quieto, come se non avesse mai avuto un giorno di vita, né saputo che cosa significa essere felici, come se non avesse nulla da dire, da affermare, negare, nulla di suo da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere."

"Vedi", fece eco Rayuela, "per essere un Grande Scrittore — non ho detto Famoso, bada bene, ho detto Grande — in certe ore è necessario dire: ‘Amai questo’. Amai certi blues, una immagine nella strada, un povero fiume asciutto nel nord. Dar testimonianza, capisci, lottare contro il nulla che ci spazzerà via. Così restano ancora nell’aria dell’anima quelle piccole cose, un passerotto che fu di Lesbia, alcuni blues che occupano nel ricordo il minuscolo posto dei profumi, delle stampe, dei fermacarte."

"Il Famoso Scrittore non ha tempo per le piccole cose", obiettò L’Orto, "lui deve proclamare in ogni sua opera la verità."

"Ma a che cosa ci serve la verità che tranquillizza l’onesto proprietario?", replicò, quasi urlando, Rayuela, " La nostra verità deve essere invenzione, ossia scrittura, letteratura, pittura, scultura, agricultura, pescicultura, tutte le ture di questo mondo. I valori, le ture, la santità, una tura, la società, una tura, l’amore, una tura, nient’altro che tura, la bellezza, tura delle ture, ture, ture, tuttuttuture, tu tu tu ture, tura ra ra … ", continuò, in dissolvenza, canticchiando sull’aria di My Favorite Things.