Cinzia Zungolo
IL DOTTOR ENNE
Come si leggerà nel referto compilato in ogni sua parte, il paziente lavoratore è risultato presente all'indirizzo comunicato. La visita fiscale ha avuto luogo alle ore dodici in punto. Il paziente lavoratore non ha opposto resistenza alcuna. Sul documento suddetto si legge la firma regolamentare del medico, è il paziente, invece, che non ha firmato la ricevuta dell'avvenuto controllo. Anche perché, come confermano tutte le evidenze fisiche, all'arrivo del medico, il paziente lavoratore risulta clinicamente morto. Si deduce che non sarà in grado di riprendere servizio allo scadere dei venti giorni regolarmente prescritti dallo specialista, il cui certificato spicca in bella mostra sul tavolo della cucina.
Il Dottor Enne (lo chiameremo così) dedusse che la giornata era cominciata benissimo, considerato che di norma faceva una tale fatica per farsi aprire. E non era l'unico inconveniente del suo lavoro. In sovrappiù, c'erano le colleghe che lo guardavano con aria di schifarlo quando metteva piede in ufficio. Il Dottor Enne ci aveva fatto l'abitudine. Oltre tutto, cominciava a sentirsi troppo vecchio per le donne. Anzi, in fondo a quella coperta militare che foderava il suo cuore, aveva sempre sentito di esserlo.
Prendeva visione delle visite, ne sceglieva qualcuna in più rispetto alle colleghe, perché conservava una forma di trionfalistica galanteria. Le impilava sulla base di un itinerario strategico e scendeva a riprendersi l'auto al parcheggio. Anche la portiera ammaccata per un vecchissimo tamponamento gli faceva sempre una certa resistenza.
Avevano il suo stesso titolo di studio, una più ridotta anzianità di servizio ed erano, le sue colleghe, sempre delle neo- più qualcosa (laureate, fidanzate, spose, mamme, divorziate). Il Dottor Enne non era mai stato neo- un bel niente e stagnava ormai da anni in attesa di trasferimento. Non che il lavoro non gli piacesse, anzi, solo che aveva perfettamente capito che un cambiamento di scenario sarebbe convenuto alle sue cacce al ladro.
Quanti anni aveva studiato? Molti ma sempre meno di quel che si poteva credere. Si era iscritto a medicina all'età di venticinque anni, avendo prima tentato altri studi. Invece solo la medicina gli veniva facile. La sua memoria sembrava fatta apposta per i nomi e principalmente per i suffissi. Gli esami se li era bevuti uno dietro l'altro. Aveva buttato il sangue in un paio di laboratori di analisi e montato la guardia in qualche presidio notturno di montagna. Nel frattempo c'era stata la parentesi ingloriosa del suo fidanzamento, giunto felicemente al porto dell'addio al celibato e incagliatosi in quelle acque, eppure basse che già si vedeva il fondo (quale fine avesse fatto durante quella notte la futura sposa, il Dottor Enne non lo aveva mai saputo). Infine si era dato alle visite fiscali, scoprendovi la sua vocazione. Era il decano della categoria.
L'interessante omogeneità di opinione che le colleghe avevano maturato sul suo conto avrebbe dovuto indurlo a un minimo di riflessione, portarlo, per esempio, a mettere in discussione il suo giubottino di pelle anni '70, con interessanti applicazioni in stoffe assortite su gomiti, tasche e colletto. Avrebbe anche dovuto porsi il problema se non fosse il caso di sostituire il vecchio paio di scarpe, o almeno farle risuolare, o, in ultima istanza, indossare calze in tinta per mimetizzare l'apertura che ne interessava la punta destra, mentre sulla sinistra erano solo visibili le sempre fresche aree fangose, a riprova che il Dottor Enne abitava non in territori interessati a recenti smottamenti ma solo nel podere agricolo del cognato Giovanni.
Anche la borsa non garantiva della sua qualifica professionale, essendo un incrocio poco riuscito fra valigetta portavalori (ma chi avrebbe creduto alla bizzarria di affidare valori di ogni genere e specie a uno con la sua faccia?) e biblioteca sacra da asporto (che non fosse un predicatore porta a porta si capiva dal suo incedere troppo stretto e deciso, più simile a quello di un assicuratore inavvertitamente sedutosi sul peperoncino piccante).
Ai bastioni del citofono riusciva a imporsi molto facilmente, il suo tono di voce era il giusto misto di impazienza e disapprovazione che, attraverso corde vocali tenorili, sciorinava la sua inossidabile concezione dell'universo. Originariamente complessa e interessata da importanti deviazioni dovute agli studi (tra l'altro di antropologia), la sua Weltanschauung si poteva ormai facilmente riassumere come segue: medico fiscale, mestiere indegno in un paese civile. L'asserzione, passibile di lettura garantista quanto colpevolista, va intesa nel senso meno carino. Il Dottor Enne trovava ingiurioso definire malato qualcuno che, invece di finire in ospedale (possibilmente in chirurgia d'urgenza), se ne stava sdraiato in salotto come un petronius arbiter ad aspettare indifferentemente nell'ordine il medico fiscale e la signorina del Bimby. Il Dottor Enne sapeva che i lavoratori di tutto il mondo, e principalmente le lavoratrici, vivono in combutta con il medico curante o, peggio ancora, con qualche frocetto di specialista. Ed era certissimo che anche il più piccolo dei loro subdoli imbrogli avrebbe presto finito per cancellare la civiltà occidentale, dimostrando migliore efficacia di quella prima pulce che scatenò la peste nera. Il lato più scandaloso di tutta la faccenda era pagare una persona per bene come lui perché andasse in giro a sbugiardare la gente, dalle 10 alle 12.30 e dalle 17 alle 19.30, sempre posto che riuscisse a farsi aprire la porta, circostanza, come abbiamo detto, non del tutto scontata. Ma era anche il lato che lo eccitava di più.
Il Dottor Enne stanava con un brivido di piacere le lavoratrici sole in casa. Sapeva che lo squadravano a lungo, tra diffidenza e sgomento, dallo spioncino. Percepiva il panico nell'odore della preda, la sentiva trattenere il fiato. Alla sua ennesima intimazione, le donne si facevano coraggio e miagolavano un 'sono sola, come faccio a sapere chi è lei?' Il Dottor Enne, guardando dritto davanti a sé attraverso giganteschi occhiali, la cui stanghetta era tenuta insieme alla montatura di un bouclé marrone mediante una vigorosa passata di nastro isolante, batteva appena più in fretta il tacco contro lo zerbino. Il suo modo civile e laureato di scalpitare. Intanto affilava le armi e si preparava all'attacco terminale e inevitabile, poiché l'esitazione in una donna era sempre ammissione di colpevolezza.
In genere, sceglieva l'effetto sorpresa, precipitandosi nel traffico cittadino prima delle nove. Raramente lo rispedivano indietro intimandogli di non farsi vedere prima dell'orario contrattuale. Qualche volta si era visto comparire sulla porta esemplari XXL di marito in pigiama di maglina, con bicipiti fumanti, ancora caldi di letto. La verità è che, per quanto possa apparire come un privilegio la tempestività di quelle visite, onde poi fiondarsi in garage e partire per la settimana bianca o la crociera nel mediterraneo, di norma alle otto e trenta del mattino un lavoratore può trovarsi ancora insufficientemente preparato. A quell'ora, per esempio, è piuttosto difficile che abbia già provveduto a comprare tutte le scatole di medicinali, a smaltirne la metà dentro la pattumiera e a falsificare con lo scanner i certificati dell'anno prima.
Quando era in vena di crudeltà, il Dottor Enne aspettava in macchina che l'orario di visita scivolasse dal quadrante frantumato del suo orologio, regalo di laurea della fidanzata prossima fuggitiva. Solo qualche minuto dopo lo scadere della consegna, verso le dodici e trentacinque, usciva dall'auto e citofonava all'ultimo martire della mattinata, donna possibilmente. Il suo olfatto da segugio gli diceva che a quell'ora, le lavoratrici avevano dovuto per forza avviare il sugo. E un sugo avviato, specialmente se sugo da provvista e congelatore per un'intera settimana, non lo si può persuadere a fermarsi. Per cui vapori e olezzi di soffritto sgusciavano da sotto la porta e scendevano le scale andando incontro al Dottor Enne che, giunto al pianerottolo con la stessa espressività di un kouros appena sporgente dallo scavo archeologico, già pregustava la spoliazione. La donna lavoratrice e massaia ma, soprattutto, in malattia, di lì a un momento sarebbe apparsa così ai suoi occhi incorruttibili: pantofole, maschera per il viso al cetriolo, grembiule merlettato da grandi cucine. Inutile provarsi a fuggire quando la breccia era dischiusa, il Dottor Enne guadagnava rapidamente la postazione strategica di uno scrittoio, estraeva una penna come una sciabola e cominciava a compilare carte. Intanto le sue domande secche e precise inchiodavano la vittima che, già rea di non aver saputo fornire un alibi credibile per il sugo in piena fase di lavorazione, cominciava a balbettare sintomi contraddittori. Il Dottor Enne, che per legge aveva mandato di procedere a una visita accurata della paziente, nel timore che le sue intenzione fossero scambiate per lussuria, non si avvaleva mai di tale diritto. D'altra parte lui era uno di campagna e uomo all'antica: gli bastava trapassarle con un'occhiata, come i medici di una volta. Quando l'aveva così posseduta, nonché smascherata in ottima salute, gli piaceva finire la sua vittima con un atto di magnanimità. Le concedeva una mezza giornata di riposo, raramente una intera, dopo averla spogliata di tutte le altre. Usciva con un risolino appiccicato in bocca e sempre, sulla porta, spendeva qualche parola benevola sull'odore del sugo che gli ricordava quello della mamma morta.
La mattina in cui il Dottor Enne trovò il paziente lavoratore sotto forma di cadavere, non poté trattenersi dal pensare, non senza una forma di sottile risentimento, che per la prima volta gli toccava rassegnarsi all'evidenza di un caso grave. Diede un'altra occhiata al corpo, lo tastò di nuovo per constatarne temperatura e grado di rigidità. Dopo un confronto con la diagnosi riportata sul certificato gli scappò una smorfia tra ilarità e disgusto. Era fin troppo ovvio: la diagnosi dello specialista risultava completamente sballata. Il Dottor Enne si mise più comodo sopra la sedia e cominciò a ritoccarla in belle lettere sul suo referto.
Quando telefonò all'ufficio competente per comunicare il decesso, il suo umore era davvero alto, sentiva un certo appetito ed era intenzionato a farsi un pranzetto vero, in trattoria, come minimo.