Guido Leotta
MICA LO SPEZZI, UN DO
Fu l'anno che morirono Battisti e De André, ma anche Petrucciani e Faiez delle Storie Tese. E se poi non è stato un anno vero e proprio, ma lo scaravoltare di pochi mesi, non fa una differenza grande. È che in quei giorni, tra tutti, se ne andò pure Sbadilamerda.
Che non era mica il suo nome vero - ovvio - e neanche un nomignolo appiccicato alla boia, tanto per offendere. Il concetto è in due parole: Lucio Malpezzi - e ditemi se uno che si chiama così potrà mai arrivare troppo lontano... - avrebbe voluto suonare solo il jazz, ma come tanti altri, per campare, si prestava a tutto e al suo contrario. Un pianista versatile, come da sentenza di uno abile con gli aggettivi, però era lui stesso che nel corso delle carestie si arruolava nelle più meschine bande di liscio, e al pomeriggio tardi, dopo il negroni che chiudeva il rituale giro divisorio tra la vita di chi se ne tornava a casa per la cena e la sua nottata di zumpappà, salutava ridacchiando "E adesso via, che si va a sbadilare la nostra razione di merda".
Ma non voleva insultare nessuno, che ognuno s'arrangia come può, e se parlava in terza persona mica era per un delirio papesco, e ancor meno per trasformarsi in categoria, siccome Lucio era individualista da far schifo e mangiapreti, che i vecchi anarchici al confronto parevano una colonna integralista delle dame di sanvincenzo. No, era proprio convinto di essere uno e tanti in persistente dibattito, tutto qui, convinto di avere al suo interno almeno tre o quattro Lucio Malpezzi conviventi che - in ogni modo - si sentiva obbligato a mantenere costantemente su di tasso alcolico.
Straordinario, però. Non l'ho mai visto sbronzo. Sbronzo da attaccar briga con una maniglia, voglio dire, o dar del tu a un lampione, ne' tanto meno da rovesciare l'anima in un angolo o anche solo navigarsene via barcollando come una boa sulla tempesta. Gli s'illanguidiva l'occhio, al massimo le parole si sporgevano un tantino arrotolate dalla punta della lingua, oppure recitava a memoria qualche poeta straniero che era stato il suo pane in gioventù.
Lucio Sbadilamerda non era neanche troppo vecchio, in realtà, ma quando la Succi Loredana, infermiera al Civile, lo mollò senza fare una piega dopo dieci anni di lingua in bocca per sparire dal paese e dintorni - lui non trovò di meglio che sbiancare in testa come il Cervino, e tutto in una notte. Questa la leggenda, per lo meno. Ma io volevo raccontarvi qualcosa d'altro, mica dilungarmi sui pettegolezzi.
Anche se poi prenderla alla larga mi serve per inquadrare il personaggio - per farvelo inquadrare a voi, che io me lo ricordo bene, come se fosse qui al banco a dirmi "È nel settantaquattro che bisognava essere a New York, angolo della Settima con la Cinquattasettesima, bastavano quattro dollari e mezzo e ti saresti sparato Mingus alla Carnegie Hall, con Faddis, McPherson, John Handy e soprattutto lui, Rahsaan Roland Kirk una sfida di sax che mi ha fatto venire tutti questi capelli bianchi qua".
Poi lui non era stato da nessuna parte, si sapeva. Longiano, Saludecio, Roncofreddo, Carpinello posti che ci si arriva con un viaggio avventuroso, questo sì, ma perché devi prendere la stessa
corriera che consegnava la posta del generale Custer... Eppure non è neanche questo che mi sta spingendo dentro, davvero.
Il fatto è che suonò al mio matrimonio, anche se sono certo che ve ne freghi meno ancora di quel che interessa a me l'euroscetticismo anglosassone, per dire. E comunque. Quel giorno l'avevo ingaggiato più per amicizia che per altro, era un momentaccio per Lucio - e mi pareva un bel modo di tirarlo dentro a una baracca da rovina collettiva, che la chiesa e il resto non avevo detto di no solo per evitare i musi lunghi della futura sposa, durata prevedibile, in caso di sgarro: un ergastolo.
La vera faccenda, per me e per gli altri compagnucci del bar, sarebbe cominciata nel pomeriggio e finita assieme al rosso che Ugo aveva trascinato a valle con un catorcio triruote, morto schiantato proprio a mezzo metro dal cartello del paese, brava bestia, come Dorando Petri, e le damigiane le portammo a braccia fino al circolo dei repubblicani, luogo eletto di baldoria dove seppellire i precedenti discorsi seri da sacrestia.
Ma se a Lucio gli avessi detto "Vieni al mio matrimonio", lui si sarebbe defilato con la scusa di un concerto, magari invece per nascondersi in cantina - da settimane non trovava un ingaggio neppure coi Giaguari di Romagna, che era guasto davvero e al TangaNika, giù in riviera, l'ultima volta aveva infilato un pezzo di Monk in un trenino sudamericano, e la gente a momenti gli tirava i bicchieri - ma lui era fatto così.
Così lo ingaggiai proprio, con un mese d'anticipo e tanto d'appello al suo onore di professionista e firma su un tovagliolino del bar dove - mezzo stravanato anch'io di whisky - avevo stilato un contratto capestro. In caso di bidone avrebbe dovuto espiare invitando a cena la Maria Diavola, che se là~vedete in faccia non vi sognate nemmeno di sospettare un filo di cattiveria in chi le ha storpiato il cognome. Eppure fino all'ultimo ho avuto paura che non si sarebbe visto, anche se facevo lo smargiasso agitando quel foglietto lercio e ripetendo che l'avrei ridotto sul lastrico se non manteneva gli impegni. Tanto sul lastrico aveva già cominciato a scavare da un pezzo, per vedere cosa c'era sotto.
E invece non solo era presente, tutto pettinato e con quel cravattone lungo lungo giallo pieno di pianoforti che gli avevamo regalato a Natale, ma addirittura col completo marrone sfoggiato in replica unica al funerale del Vecchio Malpezzi... Ma la tengo corta.
Lucio Sbadilamerda quel giorno ci fece piangere tutti - perché dopo il repertorio canonico (e giuro che non sgarrò un bemolle), alla fine, soltanto alla fine, mentre ci si stava spostando nel retro per le firme, attaccò con una cosa d'acqua e polvere e di vento che non avevo mai sentito. Io non lo so se era un pezzo suo, perché la musica mi fa andare nei matti, ma di jazz non ne mastico un granché, però sono quasi sicuro di sì. Perché c'era dentro la tempesta come quando grandina sui frutteti, qui da noi, e i sospiri beati dopo uno scroscio alla fine di una giornata d'àgosto che sembrava dover schiacciare uomini e bestie. E c'era dentro il trattore di Augusto che sgrana la marcia, e le gambe di ferro degli sgabelli che sfregano sul pavimento del circolo, ma anche il silenzio della nebbia e i cani ad abbaiare quando la Zaira va in calore, e poi la Stefania alla mattina mentre canta sul balcone e sbatte le lenzuola, e Battista che pialla, lucida, sega il legno - e per il resto non lo giuro, no, ma per Battista e la Stefania sono sicuro bene, che siamo io e mia moglie.
E tutto questo come se ci stesse guardando da una grande distanza, ma non con un binocolo potentissimo di quelli che scovano anche i moscerini difettosi, non so se mi spiego. Arrabbiato, un po', ma soprattutto ci stava consolando e accarezzando tutti insieme, tutti in una volta, e insomma... Ci sono venuti dei goccioloni come pere spadone, se mi passate l'esagerazione, e quando gli sono andato vicino per ringraziarlo lui ha detto "Mi piacerebbe diventare una nota, una qualsiasi, e così nessuno riuscirà a catturarmi per sempre ... Potranno usarmi, questo sì, ma niente di più. Magari prendermi in giro, suonarmi sbagliato. Distruggermi ... mai. Prova a spezzare un do, se sei capace - forse lo puoi piegare fino a farlo diventare un'altra cosa, in un tono che non è più quello. Ma esisterà sempre, da qualche parte. E io vorrei diventare una nota. Una qualsiasi".
Io devo averlo guardato con gli occhi di una mucca dietro lo steccato, ancora con le lacrime che dondolavano sul bordo delle ciglia. E lui ha attaccato a ridere che non finiva più, e ha detto "Scemo, è di Kirk questa frase. Non sono mica' buono d'inventarmi una cosa così, io". E mi ha stritolato con quelle dita magre che dentro però avevano la forza di un Landini... e poi una pacca, e ho finito di firmare e tutto il resto, e il resto faccio confusione a dirvi l'inventano preciso, che poi si è bevuto e bevuto, anche l'aceto, e ci siamo sparati sedici uova di tagliatelle con un ragù che saliva sui tavoli da solo, e insomma... Chi l'avrebbe pensato che quello era l'ultimo concerto di Sbadilamerda.
Due giorni dopo l'hanno trovato con la sua cravattona gialla che andava nella direzione sbagliata, mica in giù verso i pantaloni, ma in su, verso la trave maestra del magazzino di Fenati, e lo sgabello per mungere rovesciato sotto i piedi
È che due giorni dopo è stato solo una settimana fa, bastardo di un Lucio fottuto, e se di certo non è così asfissiante come il suo, adesso anch'io ho un nodo qui, che non mi riesce di sciogliere. Così ho cercato di raccontarvelo, per vedere se si allenta - e intanto penso che a una nota puoi fare quel che vuoi, ma mica la distruggi, e mi provo di sorridere. Anche se da fuori deve sembrare una gran brutta smorfia e basta.