Mario Lunetta

CAPRICCI A CALCO

 

A - Grandi ombre nello Studio 5

Non è morto ciò che giace in eterno /

E col passare di misteriosi eoni I

anche la morte può morire.

H.P. LOVECRAFT

 

Ho immaginato, in una di queste irreali giornate italiane, per gioco di libertà coatta se si vuole, un paio di cose molto événementielles e tuttavia, credo, molto verosimili. Figurazioni bizzarre, certo, eppure violentemente allegoriche: che m'hanno lasciato come tramortito, e come mùtolo: mùtolo dentro, voglio dire, incapace di fornirmi spiegazioni di una qualche plausibilità e capacità di convinzione. Ho involontariamente immaginato, così, chissà contro mai quale accanimento del destino:

1) che Giacomo Leopardi, il quale aveva com'è noto un debole per le ombre cinesi, a differenza di Guido Ceronetti amasse perdutamente il cinema;

2) che dunque, come due più due fa quattro, amasse Federico Fellini, il quale - mi pare - sta al cinema come Mozart sta alla musica.

Del resto, anche il contino de' Leopardi aveva (s'era fabbricato, o filmato in parole) un "suo" Federico, quello delle mummie che, guarda caso, proprio ai giorni nostri irreali sono tornate di moda nel cinema più bestia, oltre che nella sotto-letteratura da edicola: Federico Ruysch, appunto, nel folgorante dialogo eponimo delle Qnerette morali. Vn apologo stupefacente, veloce e cadenzato come un balletto aereo, in cui gusto (straniato) del macabro e bizzarria sorridente si muovono sul ritmo finto-compassato di una prosa crudele, e scaltra, e dolcissima nel suo esangue furore. Il sarcasmo cerimonioso dei vampiri, verrebbe da dire. I quali nel dialogo tra lo scienziato olandese e le sue mummie sono ben presenti, e il divertito Leopardi così certifica li chiami in causa lo stizzitissimo Ruysch, svegliato "di mezza notte" dai cori dei morti che nel suo studio-obitorio cantano come galli: "Se è vero quel che si dice dei vampiri, e voi siete di quelli, cercate altro sangue da bere; che io non sono disposto a lasciarmi succhiare il mio, come vi sono stato liberale di quel finto, che vi ho messo nelle vene". Ohibò.

Le mummie strepitano. Ruysch le rimbrotta e le tratta, così, da volgarissimi vampiri. Loro ribattono che stanno soltanto usufruendo della facoltà di parlare e cantare per un quarto d'ora, concessa a tutti i defunti del mondo, di ogni tempo e paese, dall'avvento di "quell'anno grande e matematico, di cui gli antichi scrivono tante cose", e che in quella mezzanotte si è appunto compiuto. Alquanto rassicurato, Ruysch si rabbonisce: e da quel momento in poi filosofeggia amabilmente con le sue mummie che si mostrano, da triviali ed orgiastiche com'erano fino a un istante prima, composte, gentili e prodighe di notizie sul piacere liberatorio che si prova in punto di morte, nonché sul dolore e sulla felicità.

L'allibito Ruysch, che prima aveva minacciato di ammazzarli tutti a colpi di stanga dell'uscio, li tasta per verificare se i suoi affabili morti siano tornati a fare il loro mestiere di morti: e, una volta accertato il ritorno alla loro condizione consueta, rincuora se stesso: "Sono rimorti ben bene: non è pericolo che mi abbiano da far paura un'altra volta: torniamocene a letto". Ma gli è rimasta tuttavia inevasa la domanda cruciale della sua conversazione: "Dite, come conosceste d'essere morti?". Le mummie non rispondono, il loro quarto d'ora di ricreazione è scaduto. Kuysch deve rinunciare alla soddisfazione della sua curiosità fondamentale. Ma è da supporre che da ora in poi il suo personale rapporto con la morte e con la vita, col piacere e col dolore, etc., sarà radicalmente mutato.

Questo, Leopardi non ce lo dice, nel suo sintetico treatment avant la lettre, già pronto per la sceneggiatura. Già pronto, quindi, per essere sottoposto al regista Fellini (Federico), quello più matto di certi passaggi di Amarcord, quello più funereo di E la nave va, o dello stupendo e tremendo Casanova. La danse macabre delle mummie che per un quarto d'ora impazzano e cantano sul filo metrico di versi impeccabilmente leopardiani, rovesciando il gioco in alto, austero e insieme paròdico carnevale, è già di per sé una trovata che "chiama", con più di centocinquant'anni di anticipo, il genio felliniano. Da parte mia, non è solo una speranza, è una certezza che Giacomo e Federico si siano incontrati, là dove sono, vampirizzandosi affettuosamente, e certo progettando un film su Ruysch e sulle sue allegramente scapestrate mummie canterine, ballerine e filosofe. Magari si sta già girando, nello Studio 5 dell'Aldilà più materialistico e delirante. Lo vedremo senza ombra di dubbio nella prossima stagione, se ci sarà una prossima stagione, e non parteciperà a nessun festival, e non avrà nessun premio. Sarà, molto semplicemente, un premio in se stesso.

 

B - Né traccia né memoria

Simile a quell'Oscar figlio unigenito di Ossian egli pure, nel fior degli anni, doveva incontrare la morte civile mentre sedeva a mensa coronato di finti pampini e discorrendo di Platone:

simile a quella tribù selvatica doveva spezzare le lance della sua facondia paradossale contro la schiera delle convenzioni utili:

ed udire, esule e disonorato, il coro dei giusti recitare il suo nome assieme a quello dello spirito immondo.

JAMES JOYCE

 

Erano tutti lì, gli Interessati. Nello studio di Hallward, naturally: che, almeno a dar retta a certe incerte scritture, "era impregnato dell'intenso profumo delle rose, e quando la leggera brezza estiva frusciava tra gli alberi del giardino, fluiva dal vano dell'entrata il greve odore dei lillà o il più delicato profumo dell'eglantina". E c'era, altrettanto naturally, il divano coperto di gualdrappe persiane, lo splendore dei fiori dell'avorno, l'ombra fantastica di un uccello in volo, il cupo ronzìo delle api che giungeva dalla finestra, il fumo delle sigarette pesantemente oppiate di Lord Wotton... Un'atmosfera solenne e frivola, per una situazione frivola e atroce.

Qualcuno notò maldestramente che tutti i ritratti di Oscar erano spariti dalle pareti. "I moralisti hanno sempre avuto mani veloci osservo un uomo ironico e triste, che sorrideva spesso come sorridono i busti di marmo. Doveva trattarsi molto probabilmente di un saggista dotato di qualche perfidia intellettuale: forse di quello stesso che di Oscar aveva detto una volta, "Non grande scrittore, è vero, ma certo grande viveur, se diamo al termine il suo senso più pieno".

In quell'aria gravida di tutto, eppure stranamente vuota, si udì volare lievemente una frase non si sa se più stupida o più punitiva: "Lo trovo giusto, tutto sommato. E' uno che ha commesso l'errore, se non la colpa, di non conoscere i limiti del proprio ruolo. Un bambino viziato e arrogante, in fondo. Dio esiste, non dimentichiamolo".

Aveva parlato una gentile signora, neanche troppo sommessamente: forse una giornalista mondana, o semplicemente una mondana senza lettere. Vantava insistentemente una stretta amicizia con Graham Greene, con Max Beerbohm, con Indro Montanelli, con Richard Gere, con l'Avvocato Agnelli, con, con, con ... Lo riteneva probabilmente il suo maggior titolo di merito intellettuale. Come molte donne, era portata a sottovalutarsi.

"Ma qual è, il proprio ruolo, se è lecito?" chiese M.L., con malvagità accademica. Non ottenne risposta: e perché poi avrebbe dovuto ottenerla?

Gli Interessati parlavano, parlottavano, chiacchieravano, ascoltavano, fingevano di ascoltare: alcuni esprimevano giudizi, o qualcosa che poteva anche essere scambiato per un giudizio. Prevaleva l'indignazione. Serpeggiava il disprezzo. Non è facile potersi permettere il lusso di disprezzare

qualcuno sinceramente: anzi, è quasi impossibile. Ci si appellava in genere all'etica professionale, oggi tanto bistrattata. La parola deontologia si affermò rapidamente fra i presenti, artisti, critici, amici degli artisti e dei critici. Piaceva il suo suono, che evocava probabilmente profumi di grecità classica e neutralità scientifica. Una contemporaneità arcaica, per intenderci.

 

"Chi si è limitato ad avvicinano in tempi recenti, disse l'uomo ironico e triste, come parlando a se stesso, da quell'essere indebolito e disfatto che ha restituito la prigione non può ricostruire con la fantasia l'uomo prodigioso che una volta egli è stato". Nessuno gli dette attenzione. Lui si guardò intorno girando lentamente su se stesso, come davanti a uno spettacolo privo di interesse. Dovette sentirsi solo come un animale di altra specie, in mezzo a quella fauna indifferente od ostile. "Ostile?" si chiese, silenziosamente. "E perché mai? Se dell'ostilità costoro non conoscono neppure le regole elementari".

Voltò le spalle a tutti, forse anche a se stesso.

La grande stanza era anche molto bella, molto elegante. Non un errore, in essa, una traccia di volgarità. Li conteneva tutti, lui e gli altri, "con il suo alto rivestimento di quercia verdognola, i suoi fregi color avorio e il suo soffitto a stucchi. Sul feltro rosso mattone del pavimento erano stesi tappeti persiani con lunghe frange di seta. Su un tavolino di legno lucido c'era una statuetta di Clodion con accanto una copia delle Cent Nouvelles rilegata da Clovis Eve per Margherita di Valois, costellata delle margherite d'oro che la regina aveva scelto come emblema. Grandi vasi di porcellana azzurra e tulipani screziati erano disposti sulla mensola del caminetto, e dalle vetrate piombate della finestra fluiva la luce rosa antico di una giornata estiva" assolutamente milanese, nell'ombelico di Brera. "Ecco" si disse l'uomo ironico e triste. "Si può essere lombardi anche senza un filo di pacchianeria", ma non era soddisfatto fino in fondo dell'osservazione.

Il Grande Critico, che era anche il Grande Accusatore, non era ancora giunto. Come è stato sapientemente scritto, "era sempre in ritardo per principio, essendo una sua massima che la puntualità ruba il tempo", specialmente a chi si misura costantemente con l'eternità. M.L. era irritato dal monotono bàttito di un orologio Louis XIV. Secondo testimonianza accreditata, "per un paio di volte fu sul punto di andarsene": solo il suo sobrio disprezzo delle convenienze lo trattenne. La gente lì convenuta appariva di momento in momento più eccitata. La gente è sempre lusingata dall'illusione di sentirsi al centro (o anche alla periferia: contentement passe richesse) di qualcosa che è bene o male considerato un avvenimento, o - come usa dire alla giornalese - un evento. "Che impudenza" esclamava qualcuno, con aria esageratamente scandalizzata.

"Una vergogna pura e semplice" osservò con tono sofferente e magnanimo un modesto pittore di donne, nude, vestite male o semplicemente discinte. "Roba che il più delle volte ti fa cadere il pennello dalle mani", amava dire desolato, lui che non aveva troppo faticato a ritenersi l'erede legittimo di Boldini, che aveva donneato in pittura come nessun altro nell'età moderna.

"Sì, proprio una piccola infamia

"Decisamente, un insulto alla serietà;: e anche all'ironia, se vogliamo".

"Ma signori miei, non sapete che la serietà non paga mai, e l'ironia è come Lazzaro, un Lazzaro troppo pigro per venir fuori?".

La giornalista mondana trafisse l'autore dell'infelice considerazione con uno sguardo più tagliente di un raggio laser. Non aveva mai apprezzato i bons mots, fossero pure assolutamente innocenti come appunto quello appena pronunciato. Preferiva, con l'utero e il palato, qualsiasi cosa somigliasse a un'asserzione.

M.L. osservò pacatamente che in fondo, il povero simpatico Oscar s'era limitato a ospitare in casa sua la tela incriminata, e in seguito a tesserci sopra un romanzo falsogotico, un po' giallo e forse troppo sfacciatamente décadent per poter essere preso sul serio. Una sorta di brillante parodia involontaria. Troppo poco per meritare la crocifissione, n'est-ce-pas. Pensava che uno come Oscar è davvero sprecato per il martirio.

4

"Si tratta di pura e semplice complicità in un falso" disse impietosamente un Giovane Critico minore, che in età ancor più verde era stato segretario di Oscar e in seguito homme à toutfaire del Grande Critico, che era anche il Grande Accusatore. Il quale ora fece il suo ingresso, finalmente. Lo precedeva l'alone un po' livido dell'ultima, ennesima e definitiva condanna di Tutta L'Arte Moderna, pronunciata come un verdetto inappellabile sulle colonne corinzie del Quotidiano Storico di cui era il critico titolare. Sembrava costruito, il verdetto, su una base di sentimentalismo viscerale e di ire profonde covate nel ventre di una Controriforma disperatamente evocata, contro le bassezze della postmodernità. Qualcosa di forsennatamente aggrovigliato, impossibile a sciogliersi, smaltirsi, digerirsi.

"E' la caratteristica di tutti i mistici refoulés" azzardò senza misericordia uno studente del terzo anno di Filosofia Morale, cranio rapato a zero, lupetto grigio e giacca di renna.

"Sapete, ha il ventre trasparente, il suo pacchetto intestinale è visibilissimo. Essendo una specie di prete vizioso, non può che alternare, neanche troppo a capriccio ma sulla spinta di pulsioni incontrollabili, severità e indulgenza. Non c'è troppo da invidiarlo. Ecco tutto".

Un sorriso tra malizioso e malinconico.

"Centro" si disse perfino divertito l'uomo ironico e triste. "Hai fatto centro, ragazzo. Chapeau".

 

Si liberò il quadro del panno che lo copriva. Il silenzio di tutti esprimeva riprovazione, ma anche curiosità e forse morbosa, tacita attrazione, dopo l'attesa irritata del Grande Accusatore. I presenti erano come affascinati da quel volto deformato e lebbroso, da quel sorriso impercettibilmente crudele, che risparmiava meno di tutti il suo proprietario. La devastazione irrimediabile agiva sui riguardanti come un tòssico. Uno osservò, rivolto a M.L.:

"Però, questo Francis Bacon continua a dimostrarsi un formidabile pittore, non c'è che fare. Qui lo dico e qui lo nego".

"Pare anche a me. Anche se stavolta ha voluto giocare, con la complicità divertita di Oscar, attribuendo l'opera a un artista creato dall'immaginazione di uno scrittore..."

"Vi riferite a quell'Hallward?" "Già. A quel finto impostore". "L'impostore vero è il caro Oscar, in fondo". L'uomo ironico e triste sorrise.

"Mah, non lo so. Non ho mai accertato le 4ifferenze che vi sono tra impostura e mistificazione. Ma è certo che il Grande Critico, che com'è noto è anche il Grande Accusatore, sta facendo un gioco mistificatorio. Non le pare esagerato attaccare con tanta violenza questo scherzo chissà se più elegante o più raccapricciante? Il fatto è che Bacon è un esponente princeps dell'Arte Moderna, e ciò basta a meritargli il suo odio: come dire, l'inferno. Perdipiù, in combutta con Oscar, ha dato prova di umorismo, e di umorismo nero, per soprammercato..."

L'altro si dichiarò d'accordo, ma appariva alquanto sconcertato.

"Tutto okay. Ma, mi dico, in tutta questa strana storia, che ne è stato del grigio Dorian?" L'uomo ironico e triste esitò un attimo. Il Grande Critico era accanto a loro. Fissando il ritratto che non cessava di esprimere tutta la sua sarcastica, terrificante potenza, disse:

"Oh, lui... Deve essere ridotto in cenere, non vedo per questo mostro destino più appropriato. Del resto, è sufficiente bruciare il quadro. Non sto certo dicendo che si debba spargere sangue..." Sorriso fugacissimo sul volto cinereo. Mani atteggiate a un gesto prelatizio.

"Le siamo grati per la sua longanimità' 'ironizzò M.L. "Ma lasci almeno che qualche sentimentale conservi il ricordo di questa tela dannata, fotografandola..."

Il Grande Critico, che era anche il Grande Accusatore, lo guardò sprezzante.

"Non deve restarne memoria. Né traccia né memoria. I falsari e le loro opere diaboliche debbono perire..."

"Prego?" chiese ancora M.L., con un'intonazione lievemente preoccupata, lievemente beffarda.

"... Scomparire, per l'esattezza" rettificò il Grande Critico: e, fendendo la folla rapita in religiosa estasi, si accostò all'odiato dipinto e gli diede fuoco. Solo in pochi si accorsero che, via via che le fiamme lo consumavano, le sembianze del ritratto si facevano sempre più somiglianti a quelle del Grande Accusatore, che era anche il Grande Critico e, da pochi minuti, il Grande Giustiziere. Ci fu un istante in cui l'identificazione fu totale, poi tutto scomparve tra le lingue incandescenti, in uno sfrigolio che M.L., in seguito, avrebbe definito "provocatorio, quasi divertito", con la distratta approvazione di Oscar, da appena pochi mesi tristemente uscito dal carcere di Reading.