Michele Turra

IL FANTASMA

 

Quell’uomo era solo apparentemente vivo. Costruiva aquiloni

e questa attività -di cui aveva fatto una vera e propria

professione aprendo un piccolo negozio- unitamente a una

decisa tendenza a vivere fra le nuvole, lo allontanavano ad

ogni istante dalla realtà.

Aveva circa 40 anni. La sua magrezza toccante lo rendeva

simile -specie nelle sere in cui passeggiava avvolto nel

suo lungo cappotto nero- a un’apparizione onirica, a una

sorta di spirito infernale o celeste incarnatosi in modo non

del tutto riuscito in forma umana.

La notte era buia e fredda, e incontrarlo proprio davanti al

portone di casa propria spaventò Maddalena. L’uomo -è vero-

stava soltanto passando, ma vedendola arrivare aveva assunto

un’espressione strana e a lei quasi parve, mentre infilava le

chiavi nella toppa, che i passi e il respiro fossero cessati

e lui attendesse, immobile dietro di lei, il compiersi di

qualcosa. Quella sensazione -che non era poi tale, ma

assomigliava più a una terrificante certezza- la risolse a

scegliere il partito dell’iniziativa: e si girò di scatto.

"Buonasera" disse, avvedendosi troppo tardi che lui aveva,

sì, rallentato il passo, ma che stava proseguendo, appena

con il capo di tre quarti, alla volta della sua ignota destinazione.

Lei lo conosceva di vista, sapeva chi era. Il paese, ingordo

di soprannomi, ne aveva appioppato all’uomo uno niente

affatto beneaugurante: il fantasma. Solitario per eccellenza, mai

visto in giro con una donna, un amico, qualcuno, quell’individuo

appariva incomprensibile alla comunità locale.

"Se non mi risponde, entro" pensò Maddalena, non udendo

provenire alcun suono dalle labbra dell’altro, ma sentendosi

intensamente osservata. E stava già sparendo dietro il

portone, quando lui si portò, teatralmente, come se però

dovesse obbedire a un sentimento autentico, una mano sul

cuore: "Forse lei mi può aiutare… Forse tu puoi farlo" disse.

La sua voce era poco più di un filo e al tempo

stesso sembrava rimandare l’eco di chissà quali profondità.

"Io? Veramente sto rincasando, non saprei…" Maddalena,

sgomenta, si affrettò a riparare sulle difensive, di nuovo

dominata dalla paura e dall’oscuro presentimento di poco

prima.

"Ti prego, ti prego". A queste parole non seguì nessun tentativo di

avvicinarsi, ma il messaggio dalle risonanze interiori

produsse sulla donna un effetto di panico ancora maggiore.

"Cosa c’è?" domandò, insicura, pensando che quel pazzo, al

quale tuttavia non sapeva rifiutare un ascolto, l’avrebbe

presto violentata o strangolata, o tutte e due le cose insieme.

"Io… - la voce, o meglio quella sorta di canale sonoro che

rendeva ‘il fantasma’ simile agli altri esseri umani, cercava

un varco nella notte, indugiava…- Io… sono morto".

A Maddalena, quella sera reduce da una cena con amici, si

gelò, per così dire, il sangue nelle vene. Ma, in contrasto

con i segnali che il suo vigile corpo le stava mandando,

la sua mente lucidamente le diceva: "Poveretto. Delira. E

c’è da capirlo, è ormai una favola pubblica".

"No, cosa dici? -lo rassicurò, dubbiosa, passando al tu

quasi per rincuorarlo-. Staresti qui a parlare con me, se

così fosse?"

"Io -la voce ricominciò a turbarla- sono morto dentro. Ho

perso l’anima".

Maddalena tremò, nonostante non ci fosse minaccia né

plausibile senso logico, in quelle parole. "Che cosa significa?"

interrogò, a metà tra curiosità e perplessità.

"Significa -stavolta lui parlò in fretta, molto in fretta-

che non avrò mai più pace, e che mi tormenterò sempre per

avere commesso, una volta, un crimine."

"Che genere di crimine? -Maddalena cominciava, nonostante

il disagio e i timori crescenti, a desiderare davvero di

capire qualcosa delle parole dell’altro- Da quando ti trovi

in questa condizione?"

Non aveva neppure terminato di formulare le domande che

già la voce di lui si sovrapponeva alla sua: "Da molto,

moltissimo tempo. Anni. E non riesco a sopportarlo. Non

ti racconto cosa ho fatto perché… rivivendo non troverei

sollievo. Ho sbagliato, ecco. In forma più o meno grave lo

facciamo tutti. Ma io… non posso dimenticare…Mai, nulla.

Ecco la differenza fra me e gli altri."

"Spiegami - Maddalena era terrorizzata, ma anche un po’

lusingata - perché vieni a dire questa cosa adesso, proprio a

me. Che cosa potrei fare per te?"

" ‘La stessa cosa che ti ha ferito ti risana e ti fa guarire’.

- affermò lui con gravità. E poi- Ti piace leggere?"

Maddalena provò un brivido: "Non ho tempo per i libri.

Lavoro, vado in palestra, guardo la tv. Questa cosa che hai

detto, devi averla presa da un libro, perché non l’ho capita".

"Non importa - disse affrettatamente ‘il fantasma’-, quello

che conta è che sei la prima che mi ha detto una parola,

senza motivo".

"Io ti ho solo salutato - proclamò Maddalena, pentendosi

dell’impulso di poco prima -. Non capita mai che la gente

lo faccia?"

Il ‘fantasma’ scosse la testa.

"Eppure tutti ti conoscono" osservò lei con un vago intento

consolatorio.

"Ah, sì. Ogni tanto mi parlano. Ma per curiosità morbosa.

E mi lasciano comunque sotto la mia campana di vetro. Mi

chiamano ‘il fantasma’."

"Scusami se ti deludo - fece sadicamente Maddalena, che

era preda di una continua alternanza di stati d’animo -, ma

anch’io ti conosco per questo, certamente stupido e offensivo,

soprannome. Non so il tuo nome e non credo di aver avuto,

col mio ‘buonasera’, intenzioni diverse da quelle della

maggioranza delle persone che incontri."

"Non cercare di spiegarti —replicò lui-; quello che conta è

che io, dopo interminabili anni di letargo, in quel saluto ho

percepito qualcosa."

 

%

 

 

 

Il letto scricchiolò sotto il peso del corpo che si muoveva,

colpito dai primi raggi di sole. Maddalena aprì gli occhi,

sorpresa: non era notte, ma mattina piena - le 10, lesse

sull’orologio -, e ‘il fantasma’ era ben lontano da lei,

intento a fabbricare e a vendere i suoi aquiloni.

"Perché ho dormito tanto? -si chiese- Perché non ho sentito

la sveglia?" Si avviò verso il telefono per avvertire l’ufficio

del ritardo. Ma un istante prima che sollevasse la cornetta,

fu proprio l’apparecchio a trillare. "Non hai sognato —disse

la voce- la stessa che le sembrava di avere ascoltato poco

prima -; hai pensato talmente tanto all’incontro avvenuto

con me ieri notte, che ora ti pare impossibile che sia stato

vero. Ma noi ci siamo parlati sul serio".

"Chi parla?" si spazientì Maddalena con il solito (ormai le

pareva divenuto familiare) serpeggiante disagio addosso.

"Il fantasma".

"Se è vero che ci siamo visti - Maddalena si sforzava di dare

un suono più autorevole alla propria voce tremante -, come

è finito l’incontro? Da un certo momento in poi non ricordo

nulla."

La risposta fu sconcertante: "Io sono scomparso. Mi sono

dissolto. E tu sei salita in casa".

Maddalena ignorò quel paradosso: "E perché avrei dormito

tanto? Il mio numero come l’hai avuto? Come facevi a sapere

di trovarmi?" L’uomo al di là del filo era diventato per lei

quasi una bussola: aveva l’impressione che soltanto lui, lui

che l’aveva così atterrita, potesse ridarle l’orientamento.

"Ti ho pensata molto intensamente, mentre Maddalena,

sopraffatta, a fatica replicava: "Non capisco".

"Non sai che la potenza del pensiero è infinita? - continuò

‘il fantasma’- E’ questo il modo per cominciare ad amarsi:

pensarsi. E io mi sono attaccato al tuo minimo atto di

cortesia di ieri sera, per rendere breve il nostro distacco, per

ritrovarti".

"Ti dirò - reagì lei con la forza d’animo residua e con

l’intenzione di essere deliberatamente crudele- che il mio

saluto era dettato più che altro da paura".

"Avevi ragione - sibilò, pietrificando Maddalena, la voce

maschile -. Non è abbastanza inquietante tutto questo? Non è

naturale cercare di opporsi al destino senza capire che in

realtà lo si favorisce?"

Maddalena, quasi, si sentì svenire.

Il resto, in un certo modo, fu dolce. Legittima difesa,

sentenziarono i giudici nel valutare l’omicidio, commesso

con la pesante pietra che di giorno serviva a tenere aperto

il portone. Solo Maddalena sapeva che ad armare la sua

mano, quando quella sera aveva visto ‘il fantasma’ venirle

incontro come ad un appuntamento per poi cercare di

baciarla, non era stato il terrore. Era stato un istinto

salvifico, un raccogliere la sua misteriosa eredità di dolore

per accollarsela a propria volta. La lettera che fuoriusciva

dalla tasca del paltò di lui lo spiegava bene. "Un tempo una

donna mi ha amato — le parole scritte dal ‘fantasma’

nel foglio di cui lei si era accorta alla fine di tutto, mentre

aspettava la polizia - ma io l’ho respinta. Al punto che si

è tolta la vita, rendendo la mia un inferno. Con questo peso

sul cuore non riesco a vivere. Ecco quello che non ti ho

detto, amica mia". Quel pezzo di carta ogni giorno la

perseguitava dal cassetto. Aveva provato a buttarlo via, ma

una potentissima forza sembrava opporsi al gesto e

resistere: probabilmente lui… il fantasma. No, non c’era

sollievo possibile nell’esistenza di Maddalena. Forse,

un giorno, raccontandolo a qualcuno…

Michela Turra