Mario Lunetta

UN GRANDE LEONE FULVO

1.

"Sì, sì, ascolta pure musica, quella tua insopportabile Ella Fitzgerald muso nero, che mugola Lester Leaps e mi scioglie le budella, con rispetto parlando. Il fatto è, alla fine, che tu credi alla reincarnazione. E’ questo a dividerci. Irrimediabilmente".

"Sciocchezze, pupa".

"Sì. Tu ci credi. Ne ho le prove. Ho visto i tuoi appunti, quella roba scotta che tu chiami riflessioni. Vi si parla di incantesimi, di Veda, di karma, di avatar. E poi, non chiamarmi pupa".

"D’accordo, pupa. I soliti indizi, le solite false piste da temponzine piccoloborghesi frustrate, che non sanno individuare nemmeno le impronte del loro gatto. Gonfiati, stavolta, dalla tua immaginazione malata".

"Bugiardo, tu ci credi, lo so. Mi vedi già, tra un secolo, nel corpo di una negra Watussi":

"Scema. Io credo, per tua norma e regola, soltanto nella rianimazione".

"Ecco, t’ho colto in fallo. Vedi che credi nell’anima, agli spiriti superni, all’Anima Mundi. Vedi che sei affetto da misticismo cronico".

"Per tua norma, io sono sempre stato, sono e sarò un materialista. Incapace di essere qualcos’altro. Per tua norma, ripeto: e anche regola. E tu sei e continui a essere una cretina, come supponevo da tempo immemorabile".

"Sei un uomo volgare. Mandi in vacca anche il respiro degli angeli, tu".

"Volgare? Tutti gli uomini lo sono. Tutti gli uomini veri, intendo".

"Sfioro la repellenza. Potrei odiarti, te e la tua rianimazione, la tua reincarnazione, la tua…"

"Potresti. Ma mica è così facile, vero?"

"Dio, che porco che sei".

"Bene. Cominci ad accorciare il tiro, vedo. Ne prendo atto. E’ solo questione di insistere".

"Hai una mentalità criminale".

"Dai, continua, dimmi che finirò in galera. E’ tipico delle donnette della tua specie. Oracolari, visionarie. Capaci solo di far predizioni che naturalmente non si avverano mai. Sai una cosa?"

"Sìiiii?"

"Pensavo, proprio stanotte, di farti ricoverare in una clinica per malattie mentali":

"Sei un porco".

"Mi pare ti l’abbia già detto. Attenzione a non ripeterti, sai che a certe cose ci bado. I doppioni mi infastidiscono a morte. Una clinica sicura, confortevole. Ho un amico psichiatra, potrebbe spiegarti con scrupolo…"

"Miserabile":

"Ecco che viene fuori la tua natura aggressiva. Stavo solo spettando. Guarda, sei una stronza volante. Certe volte ti vedo volteggiare in cielo, e mi fai venire il magone. Cade, non cade…"

"Infame. Venderesti tua madre, tu, per un po’ di successo. Credi che non l’abbia capito?"

"Dai miei appunti, nei quali hai frugato come una serva infedele?"

"No. Dalla tua faccia. Da tutto il tuo modo di fare. E di essere".

"Ma no, pupa. Il profitto sarebbe talmente irrisorio. Una fatica nera, inoltre, trovare acquirenti…"

"Anche se probabilmente non ha mia ucciso nessuno, tu sei un assassino. Prova a negarlo, su. Provati. Eh, vedi che non ti azzardi?"

"ma sì che mi azzardo. Non sono un assassino, e lo sai. Tra l’altro, ti disprezzo talmente… Neanche perdere il tempo a provarti che ho altro da fare…"

"Mi disprezzi, eh? Non puoi permetterti molte altre cose, ormai, in effetti… Con le tue reincarnazioni, dico":

"Rianimazioni. Rettifico, una volta per sempre: rianimazioni. Preferibilmente bocca a bocca".

"Mi fai schifo, guarda. Le tue reincarnazioni. Cosa sei attualmente? Un cammello, un orso, una scimmia, un topo?"

"Un leone. Un grande leone fulvo".

"Un clown, piuttosto. Avresti una carriera assicurata, nel circo".

"Un grande leone fulvo, un po’ stanco. Stanco delle tue tremende stronzate di stronza volante, che volteggia in cielo, e…"

"E ti fa venire il magone. Già sentita, questa canzone. Bastardo. Sei un bruto. Neppure un primate. Un puro e semplice bruto".

"Un leone, un grande leone fulvo".

"Un bruto".

"Un leone".

"Una specie di verme. Comunque un rettile".

"Ecco, vedi, ora ti spacco la faccia con questa mia grande zampa di leone fulvo. E’ micidiale, te l’assicuro, una sferzata e via!, stacca la testa di netto a un bisonte. Parola d’onore. Ha fatto più di una vittima, dovresti saperlo. Ne hanno parlato a iosa i giornali, i telegiornali, i cinegiornali, tutti".

"Buffone".

"Perché ti ostini a non riconoscere le mie prerogative? Non capisci che così facendo non risulti nemmeno spiritosa, e mi fai solo gonfiare i coglioni di aria fetida? Possibile? Io sto per partire, e tu vuoi restare noiosa fino alla fine. Ne prendo atto".

"Parti, parti pure. Trombone. Quei tuoi stupidi film , quelle ignobili produzioni italo-libiche. Terzo mondo. Quarta categoria".

Sei di gomma, poverina. Vedi, almeno lo capissi. Una massa di gomma liquida e poi rappresa. Quando ti ho raccolta, non ricordo dove, eri ancora allo stato filamentoso. Ti scioglievi. T’avevo preso per un blocco di chewing gum".

"Miserabile".

"Cominciai a masticarti. Non eri poi troppo male".

"Fallito".

"Ti masticavo. Eri quasi buona, comunque non sgradevole".

"Mancato in tutto. Vorresti essere Orson Welles. E’ la tua fissazione. Sfortunatamente, talento a parte, sei anche magro. Magro e mediocre. Goditela, la tua mediocrità, buon pro ti faccia".

"Sto per partire, mia piccola vacca. Come tutti sanno, vado a fare un grande film africano. Il grande leone fulvo sente il richiamo imperioso dei suoi odori forti, dei suoi sapori sanguinosi. Ciao. Adieu".

"Macché ciao. Macché adieu. Se parti fra una settimana".

Lo sai benissimo: è come se partissi ogni giorno, io. Io sono uno che parte, insomma. Sono un nomade. Un grande leone nomade".

"Hai detto fulvo, un momento fa".

"Un grande leone fulvo e nomade".

"Un grande puttaniere, ecco quello che sei. Come se non lo sapessi che…"

"Che? Prego? Please?"

"Che non partirai da solo, ecco".

"Ma guarda".

"Che partirai in buona compagnia, magari con quella tua cagnetta di Trani, o di Trapani, o di Trabia, o di Trappeto, o di Tradate, non ho mai capito bene… Segretaria di produzione, o che so io. Insomma, una zoccola".

"Ma smettiamola, con queste assurdità. E piantala di gingillarti con quel coltello. Mi dà ai nervi".

"Oh, per tanto poco. Io non sono una che parte, sono una che resta. Io mi son un che quando amore spira…"

"Molla quell’arnese. E lascia in pace Manzoni".

Macché Manzoni. Sei una rapa. E’ Leopardi, lo sanno anche i marziani. E poi, questa è la pistola ad acqua di tuo figlio. Un aggeggio innocente. Coda di paglia, eh?"

"Insomma, ciao. Ci vediamo".

"Ciao, Leo".

"Che vuol dire? Che menate sono. Da quando in qua hai dimenticato il mio onorato nome?"

"Ma no, Sergio, ci mancherebbe. Solo che credevo di farti piacere. Leo è il diminutivo di leone. Il mio leone… Il mio grande leone fulvo e nomade".

"Sei un’idiota. Molla quelle forbici. Ti farò ricoverare, appena torno".

"Dio mio, un leone che entra in crisi per un paio di forbici innocue…"

"Ho bisogno di sensazioni forti, io. E tu, tu sei i-r-r-i-m-e-d-i-a-b-i-l-m-e-n-t-e noiosa, prevedibile, banale".

Perciò, parti. Vai a fare il tuo film nel Fezzàn. Un salto a Tripoli e Bengasi, un po’ di Sahara, un ciuffo di oasi, Cufra, Augila. Una scorpacciata di scopate, bianche o di colore. Un bel barracano ricamato in dono alla mogliettina fedele con la sua brava sindrome di Penelope, e via. Un bel film d’avventure. Bravo. Bravo Orson. Il seguito esotico di Citizen Kane".

"Mi hai scocciato, con questo tuo umorismo da serva".

"Bene. Ciao, mister Welles".

"Che vuol dire?"

"Che me ne vado. Non parto, io. Me ne vado".

"Te ne vai? E dove?"

"In Florida. Tampa, per l’esattezza. M’ha invitato Mamie".

"Quell’orrenda Mamie".

"Appunto. Mi offre ospitalità illimitata. I-l-l-i-m-i-t-a-t-a. Do you understand me, boy?"

"Orrenda. Semplicemente orrenda. E tu non ti muovi, capito?"

"Guarda, l’aereo parte fra undici ore. Ecco il biglietto. Sola andata".

"Tu non ti muovi".

"Smettila di gingillarti con quelle forbici".

"Non ti muovi, chiaro?"

Molla quella pistola. E’ vera, lo capisco, sai. Non è quella di tuo figlio, povero bambino sfortunato. Non è una pistola ad acqua, quella che hai in mano. E tu, comunque, sei un leone di peluche, sappilo. Ciao, Leo".

"Tu non ti muovi, mia piccola troia scavezzacollo".

"Ma va’ là, te e il tuo karma. Il tuo avatar. Sai dove puoi metterteli? Prova un po’ a immaginarlo".

"Guarda, stronza volante, che se non stai attenta ai fili dell’alta tensione cadi folgorata, altro che jet e Tampa e quell’orrenda Mamie, che forse è anche un po’ lesbica".

"Ciao, Leo".

"Tu non ti muovi, te l’assicuro. Le tue strepitose stronzate di stronza campione del mondo le fai tutte qui, dove io ho deciso".

"Ciao, e abbi cura di tuo figlio, che mi sembra un po’ magrolino. La tua ex moglie, mio Principe dei Divorzi, deve nutrirlo con parsimonia, temo…"

"Bada ai casi tuoi, piuttosto".

"Casi?"
"Sì, casi".

"Come parli forbito, my God. Non ti si addice mica tanto…"

"Ehi tu, girl del mio benamato cock, stammi bene a sentire. Apri le orecchie, fa suonare gli orecchini come campane a stormo".

"Molla quella pistola, Leo. Non ho mai visto un topo con la pistola".

"Ehi Biancaneve Whitesnow, attenta ai fili, puoi restare folgorata. Esci da quella nuvola di merda, se puoi".

"Mai visto un orso, un cammello, una scimmia con la pistola. Giuro"

"Ehi, ‘merrecana. Ascolta".

"Ciao. Non ho tempo. Devo finire di fare le valige".

"Ehi dico. Tu".

"Mai vista una pulce con la pistola, che poi è una pistola ad acqua. E tu, Leo, non sei più nemmeno una pulce. La tua famosa reincarnazione è arrivata all’ultimo stadio. Sei una cimice. E io ti schiaccio, così. E poi parto. Tampa, Florida. Addio".

 

2.

"Bene, bene, okay. Discorso chiuso, almeno per ora. La stronza volante ha volato, è rientrata senza incidenti, si è goduta il sole, The Sun Also Rises, ha prosciugato l’Oceano, ha fatto centomila colazioni con hamburger di pescecane, si è fatta scorrazzare di qua e di là dalla Greyhound, dai taxi driver greci irlandesi chicanos, dalle limousine di quei banchieri morti di fame amici di Mamie, magari ha trovato il tempo e il modo per litigare con quella matta isterica — e, ripeto, forse anche un po’ lesbica, che non guasta mica… E ora è di nuovo qui, se Dio vuole. Ma guarda un po’ che uomo fortunato sono, proprio nato con la chemise…"

"Via Leo, non far finta di non vedermi. La tua mogliettina è tornata, tutta intera. Bronzée come la consorte di uno di quei bronzi di Riace, non trovi?"

"Consorte? Perché non dici concubina, piuttosto".

"Dio, ma come ci andate giù pesante, voi europei".

"Ma cos’è, hai cambiato cittadinanza? E via, piantala una buona volta con tutte le tue americhe le tue floride le tue pensacole… Non ricordi, carina? Sei venuta alla luce in questo nostro triste mondo in quel di Frosinone… Tutto dimenticato? Guarcino. Roccasecca. Ti dicono niente questi nomi di ciocaria metropolitana? Progenie di rurali, se non vado errato. Tirata su a caciotte e coniglio… Certo che, con simili precedenti, tu con l’Europa non hai mica granché da spartire".

"Da tempo ho smesso di farlo, guarda. Da quando ho scoperto che il mio futuro si chiama Jacksonville, si chiama Bahamas".

"Il tuo futuro, se non l’hai ben capito, ce l’hai tutto dietro le spalle, piuttosto in basso… Fammi un caffè, piuttosto e smettila di spandere in aria le tue simplezas…"

"Prego?"

"Simplezas. Ho detto simplezas. Le tue scemenze, appunto. Ma dico, mi fai l’americana tutta florida un tanto alla libbra e non mastichi neppure una briciola d’ispanico… Su, via, iscriviti a un corso serale rapido per ninos ritardati e per muchachitas down, almeno… La prossima volta te la caverai meno peggio, laggiù dalla tua amica Mamie".

"Spiritoso come un caimano, ecco cosa sei. Tu, caro mio, la gentilezza non sai neppure dove sta di casa… Ti trovo proprio come t’ho lasciato: una fotocopia perfetta".

"Niente gentilezze, pupa. In casa mia, al massimo, abita qualcosa che tu, poveretta, neanche ti sogni. E sai come si chiama?"

"No. Francamente no".

"Signorilità. S-i-g-n-o-r-i-l-i-t-à. Una cosa aerea, pura luce mediterranea, leggera, trasparente. Qualcosa che tu non imparerai mai, frusinate. Ciociara".

"Bene, bene. Applausi. Anche razzista me lo ritrovo, il mio maritino impagabile. Di’ un po’, quanti nativi hai scuoiato nel continente nero, tra un ciak e l’altro del tuo meraviglioso film?"

"Nessun film. E’ stato solo un sopralluogo".

"Ma come, e il tuo grande film avventuroso ed esistenziale nel cuore dell’Africa?"

"Si farà, si farà, non dubitare. Produttori, sono solo dei pescecani sdentati, buoni solo a millantare crediti e denaro. Pezzenti in Jaguar. Ma io non demordo".

"Ah, già, dimenticato. Tu non demordi. E che fai, tu, giri? Giri per il pianeta, visto che non giri dei film".

"Io non giro, lo sai bene. Io sto fermo. Immobile. Inamovibile. Impassibile. E scruto. Scruto il mondo, e nel mondo la tua stronzaggine senza confini".

"Il mio grande leone fulvo… Povero caro ragazzo… con le sue ineffabili segretarie di produzione… Le sue bionde da infarto… Le sue pantere da notte… Ma guardati allo specchio… La tua faccia africana è quella di uno che ha preso la tintarella a Torvaianica".

"Volante. Idrovolante. Tu sei tra i velivoli e i volatili, la più grande stronza di tutti i tempi e di tutte le civiltà".

"Piaceresti molto a Mamie, ne sono sicura. Lei nel macho apprezza solamente i lati peggiori".

"Tu, e quell’orrenda Mamie. Non l’ha mai vista, è bastato che tu me ne parlassi una volta, e ho capito che non potrei usarla neppure come straccio da spolvero".

"Per la tua garconnière?"

"Per il tuo pregiato fondoschiena, pupa".

"Ma che potere d’intuizione, my God. Mai vista una volta, eppure… Strepitoso. Roba da Scipione l’Africano".

"Poco da ridere, ‘merrecana con le ciocie. Tutto da piangere, invece. Anche perché tra poco, temo, potrà valutare quanto pesano le mie mani… Le mie mani di lavoratore del pensiero… E posa quella mazza".

"Ma che sospettoso, boy, che malfidato. Se è solo una mazza da baseball… un regalino per te. Un cimelio pregiato. Pensa che ci ha giocato per un intero campionato Joe Penny, il celeberrimo Joe Penny detto l’Uragano".

"Mai sentito nominare. Mai coperto. Sarà uno di quei soliti coglioni che si vedono nei film sport-trash".

"Un grande, grandissimo campione. Mitico".

"Posa la mazza".

"La sua mazza, capito? Qualcosa di sacro, per gli americani".

"Troppo lunga, per i miei gusti".

"Una mazza regolamentare":

"Appunto. Sai che io sono sempre stato contro le regole, i regolamenti, i decaloghi, i codici, le normative… Sono un nomade, e un nomade è sempre un fuorilegge, a suo modo".

"Un nomade? Ma se hai appena detto che stai fermo. Immobile. Inamovibile. Impassibile. Una statua".

"un nomade immobile. Inamovibile come una piramide. Impassibile come un nomade. Un nomade che scruta".

"Impassibile".

"Inamovibile. Impassibile. Come un obelisco. E i raggi del sole africano accendono la cuspide, e io allungo la mia ombra sulla terra bruciata".

"Tu bevi un po’ troppo… Non fare film ti fa male, anche se debbo riconoscere che farli non ti fa tanto meglio".

"Io faccio film anche quando non li faccio. Io giro senza posa. Io sono cinema. Tu mi guardi e vedi una storia, una lunga, magica, affascinante storia cinematografica… Qualcosa che si snoda, si snoda, si dilata, va in profondità, scende nel mare, si innalza nei cieli, crea il mondo di nuovo… Il nuovo mondo… Qualcosa che… Che…"

"Leooooooo!"

"Sì, pupa, che c’è?"

"Niente. Niente. Lasciamo stare l’America e l’Africa. Attrezziamoci e facciamo una bella gita a Frosinone, farà bene a tutti e due".